Subject: Newsletter ANSSAIF n.5 / 2018

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Osservatorio Terrorismo    Newsletter n.12

Sommario:

1.Editoriale
2.Lavoro all’estero e tutela dal rischio di atti di terrorismo
3.Traveller's guide
4.La Germania come Stato di Polizia?
5.Recensione del libro “Terrore Sovrano – Stato e Jihad nell’era postliberale”
di Marina Calculli e Francesco Strazzari
6.Recensione del volume del prof. Mauro Barberis “Non c’è sicurezza senza libertà.
Il fallimento delle politiche antiterrorismo”
7.Recensione de “Il marketing del terrore” a cura di Monica Maggioni e Paolo Magri
8.Tavola rotonda tra i soci a commento della recensione  

XIV Congresso dei soci
Si è svolto a Roma presso l'Hotel Forum il 27 Ottobre.

Titolo: "Global Threats: Siamo pronti alle nuove sfide? Lavoriamo ad una gap analysis e ad un piano d’azione".

Sono intervenuti con relazioni sui temi correnti i Sigg.: Corrado Giustozzi, Giancarlo Castorina, Pietro Blengino, Salvatore Fratejacci, Luigi Di Marco.

Nel pomeriggio i soci e relatori hanno visitato la Domus Aurea apprezzando le nuove aree aperte e, non ultimo, l'ausilio della realtà virtuale.


Articolo

La consapevolezza: dal peccato originale al panorama professionale, è una questione ancora irrisolta?
Di Alberto Buzzoli

Nell’ambito delle discipline preventive e reattive rivolte alla tutela di differenti aspetti – la sicurezza olistica – si comincia finalmente a diffondere, almeno al livello teorico, il concetto relativo alla centralità e alla notevole consistenza del ruolo giocato delle persone, anche con specifico riferimento all’aspetto della consapevolezza. Restano però ancora ampiamente indefiniti alcuni ambiti al riguardo: da una semplice definizione linguistica soddisfacente alle tecniche che possono essere impiegate per garantirne uno sviluppo continuativo ed efficace, passando per il mastodontico problema di determinarne in modo oggettivo l’effettivo livello e le responsabilità formali d’intervento.
Se la definizione che forniscono le norme ISO - che in ogni caso è di molto più esplicativa rispetto a quanto indicato nei vocabolari più autorevoli - sembra chiara e comprensibile per gli addetti ai lavori, non si può certo dire che sia lo stesso per coloro che non si occupano direttamente del tema. Tanto è vero che nella maggior parte dei casi viene spesso confusa con la competenza, ovvero il saper fare. Invece la consapevolezza riguarda la capacità di assumere una visione ampia, comprendendo il contesto nel quale ci si muove, le regole che lo governano, la direzione verso la quale si intende dirigersi (gli obiettivi) e qual è il personale apporto in un dato ecosistema, ovvero le conseguenze generate dalle proprie azioni ed eventualmente dal mancato rispetto delle regole stabilite.
Ma non si limita solamente a questo. Bensì si estende alla capacità di ciascun individuo di “sapere di non sapere” e quindi decidere di agire secondo due modalità: o in modo dogmatico, accettando le indicazioni fornite da qualcun altro, oppure acquisendo le opportune conoscenze per valutare correttamente cosa fare in un secondo momento. Il tutto nel tentativo di non perdere la direzione intrapresa né di imporre ad altri conseguenze inattese e non desiderabili.
Per semplificare, il peccato originale e tutto ciò che ne consegue può essere uno degli esempi più evidenti di una carenza di consapevolezza. Eva, quando decide di mangiare la mela, conosce le regole ma non conosce quali saranno le effettive conseguenze del suo gesto. Crede comunque (soggettivamente) di trarne un beneficio. E quindi prosegue imperterrita.
La consapevolezza può anche essere interpretata come la personale capacità di identificare ed analizzare i rischi in un determinato contesto, scegliendo di accettarli oppure di cederli, in quest’ultimo caso seguendo le regole definite da altri, i quali hanno individuato quelle più adatte ad una mitigazione efficace.
Eppure la capacità di ragionare in quest’ottica viene spesso confusa con una scarsa capacità dell’individuo di essere autonomamente intraprendente o come una più ampia negazione del diritto dell’essere umano all’esercizio del libero arbitrio. A conferma della confusione, nella stessa lingua italiana, termini della stessa radice sottolineano accezioni opposte: libero arbitrio e arbitrario. Il primo termine conferisce implicitamente doti di valore mentre il secondo lascia presupporre una grave forma d’incapacità.

Inoltre, la non misurabilità in modo oggettivo della consapevolezza, in assenza di adeguate metriche, diventa causa dell’ulteriore difficoltà nel sostenerne oppure contestare il livello, ponendo in una situazione sempre molto scomoda chi ne esprime una valutazione.
Quanto costa generare consapevolezza, quali sono gli investimenti necessari e come si misura l’eventuale ritorno? A chi spetta la responsabilità di farlo? E soprattutto dov’è che finisce il dovere individuale di “essere al lavoro con la testa sulle spalle” ed il compito dei capi di comunicare in modo chiaro ed efficace e di verificare che tutti i componenti del team abbiano chiara la situazione? Tutti quesiti abbandonati esclusivamente al buon senso; un presupposto troppo debole per funzionare.
E mentre ragioniamo su “di chi è la colpa” oppure a chi spetta la responsabilità, l’economia mondiale soffre perdite economiche da capogiro, di cui una percentuale considerevole riguarda solamente il cybercrime. Ancora peggio, la sicurezza di stati e nazioni vacilla in modo pericoloso ma latente e la sicurezza dei diritti e delle libertà delle persone viene messa a dura prova da un mix, le cui proporzioni non sono ben definite

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