"Vale la pena di vivere" di Carmen Lasorella
All'Aventino, l'ultimo saluto al Generale Luigi Ramponi. Con i vertici militari al completo, ha partecipato, commossa, una folla di amici, che si è stretta intorno alla famiglia. Dopo la cerimonia, le note della fanfara dei Bersaglieri. Non voglio parlare della morte di un amico, ma del valore della sua esistenza.
Luigi Ramponi, il bersagliere, il comandante generale, il senatore, il protagonista di momenti importanti del nostro Paese, servitore fedele dello Stato, era e resta l’uomo forte della sua umanità. L’uomo severo, esigente verso se stesso e verso gli altri, eppure semplice, spontaneo, salace, sapiente, curioso, attento, era pronto d’istinto a sorreggerti nel bisogno, tendendoti la mano.
Non lo dichiarava, perché ne era testimone: la vita si esalta nei valori e nei sentimenti, non c’è molto altro. E bisogna scegliere, assumendosene la responsabilità. Con una memoria prodigiosa, allenata dalla disciplina, ma nel gusto degli aneddoti, considerava il senso del passato, necessario a interpretare il presente per guardare al futuro.
La cyber security, negli ultimi anni, era al centro dei suoi interessi e la sua lungimiranza non faceva una piega.
Cosa contava, che avesse sulle spalle 80 e più primavere? Aveva speso la vita stando davanti e mirando lontano. Ma non era esattamente così: il tempo della vecchiaia contava e con suo rammarico, per il corpo sempre più stanco, mentre la mente correva veloce. Eppure, un passo alla volta avrebbe ancora salito i gradini dell’ennesimo palco di un convegno, da lui stesso organizzato, e aggrappandosi alla ringhiera in ferro battuto di una vecchia caserma avrebbe raggiunto ancora, come ogni mattina, il suo centro studi, pensato per la difesa e le strategie dell’era digitale. Era un piacere, la chiacchierata con lui sui temi dell’attualità politica nazionale e internazionale. Ci si vedeva nel suo studio spartano, con una vecchia bandiera rammendata, conservata sotto vetro alla parete oppure in trattoria o al telefono. La sua innata cavalleria frenava i toni da caserma, ma l’amicizia allentava la presa. La polemica diventava inevitabile, nella differenza delle opinioni, e tuttavia si ripeteva il garbato silenzio dell’ascolto, prima della replica, con la conferma comunque dell’affinità. Per lui, innamorato dello sport e appassionato di ciclismo erano oramai troppi i gregari e c’erano i corrotti nei posti sbagliati. Al momento dei saluti, la battuta non mancava.
Di gente vera, però ce n’era intorno a lui e di qualità. Collaboratori e consulenti. Vecchi compagni, ex subordinati oggi generali e giovani reclute. Amici della politica, feluche, professori. “Oramai, conto poco” – commentava pragmatico, nella fatica di trovare quelle soluzioni, che un tempo erano state facili. Ma si riaffacciava quel fastidio, mai digerito, del siluramento al Sismi.
Il rispetto nei suoi confronti era rimasto immutato, per alcuni, irrobustito dall’affetto. Lo stesso, che gli ha consentito di mandare avanti per dieci anni un progetto di solidarietà. A più di 600 chilometri dalla capitale Dar Es Salaam, sugli altipiani della Tanzania è nato l’asilo “Mafinga”, affollato da almeno 200 bambini. Se ne occupano le suore Camaldolesi, i sostenitori, una catena di amici e amiche, l’ideazione era stata della moglie.
Luigi Ramponi aveva un rispetto naturale per le donne e le sapeva apprezzare. Non si capacitava, per esempio, perché nelle città alle diverse latitudini non ci fosse un monumento alla madre. Non era la visione di un uomo d’altri tempi, prono ad una fede conservatrice, che vede solo patria e famiglia. Lui aveva avuto una madre colta, tenace e coraggiosa e ne intendeva in questo senso il riconoscimento, affinché si andasse oltre l’iconografia stantia della maternità. Tenace e coraggiosa, del resto, era stata sua moglie, sulla cui tomba portava un fiore ogni settimana. E da soldato aveva accolto con favore l’ingresso delle donne nella vita militare. “Sono convinto, che siete migliori di noi uomini, sotto molti aspetti e più complete”- diceva serio, cedendo il passo però e aprendo la portiera.
Addestrato a sopportare fatica e disagi, sin dai tempi dell’Accademia di Modena, non ha ceduto alla debolezza, neanche quando le sue condizioni sono peggiorate. “ Mi chiedono come sto? Io rispondo: male, grazie. Ma lo dico brusco, così finisce subito. Si può parlare d’altro, no?”
E il congedo dalla sua esistenza terrena l’ha voluto scrivere lui stesso in un libro, pubblicato giusto un anno fa. “Val la pena di vivere”.
Un tomo di 500 pagine, dove lui conclude: “Si entra e si esce da questo mondo senza che nessuno, prima e dopo, all’inizio e alla fine, ci abbia detto o chiesto alcunché. Ci si trova immersi in un’avventura, per certi versi fantastica, che, così com’è venuta, scompare, finisce. E’ legittimo chiedersi: Perché? ... Oltre al perché, un’altra entità incide sullo sviluppo della vita: il Caso … Così è stata la mia vita, sin dal momento della nascita e poi via via durante tutto il percorso della sua durata …. Così ho risposto alle sfide della vita, cercando di fare il mio meglio, in ogni frangente, di fronte ad ogni impegno…. Nel fare un immaginario bilancio, voglio ignorare le cose tristi e ricordare solo quelle belle…. E allora dico: Val la pena di vivere." Sicuro, che ne vale la pena. E’ una sfida esaltante, che diventa magnifica quando si ha la gioia di condividerla con chi si ama e con gli amici più cari.
Il Caso ha scelto per Luigi Ramponi il 5 maggio, un giorno pieno di sole. C’è stato il tempo di una di quelle chiacchierate al telefono ed anche il tempo di un ordine di bonifico intestato all’asilo in Tanzania. L’ultimo pensiero per quei bambini, poi di corsa per le ultime due ore…le piume al vento, al fianco, un figlio.
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