Parliamo di previdenza.. Si, lo so, spesso questo argomento è un po’ noioso e percepito, talvolta, come lontano.
Questo anche perché il nostro cervello è fatto per la maggior parte dalla componente emotiva ed istintiva, retaggio del passato legato al cervello più profondo che abbiamo, il cervello rettile.
A questo punto però mi sembra necessario fare un approfondimento su questo aspetto.
Il nostro cervello è diviso nei famosi “tre cervelli”:
1. rettile,
2. limbico
3. neocorteccia
Questa tripartizione si deve allo scienziato Paul Donald MacLean che nel 1972 ha appunto ipotizzato la presenza di tre diversi cervelli all’interno della nostra scatola cranica: il cervello rettile, più antico, responsabile del 95% delle nostre funzioni vitali, pur occupando uno spazio molto esiguo di circa il 5% della massa cerebrale complessiva; il cervello limbico, che si sarebbe sviluppato più tardi, responsabile dei processi emotivi e la neocorteccia, la parte di sviluppo più recente, in termini evoluzionistici, responsabile di ragionamenti– anche se fallaci – di calcoli e di tutto quello che riguarda la logica.
Ecco perchè quando la nostra mente sente la parola previdenza, pensione, il cervello rettile, che è collegato con i nostri istinti atavici, e la cui fiducia va conquistata per poter poi relazionarsi con gli altri due cervelli, si ferma alla “prima impressione” e ha pochissimo tempo per decidere e quindi gli dovete piacere subito, dice... problema ora? No, mi piace?, No e così l’impulso viene catalogato come non importante ai fini delle “funzioni vitali”.
Si deve quindi cercare di andare oltre la prima impressione e stimolare la neocorteccia per
assimilare le notizie che ormai escono ogni giorno, come l’ultima indagine Istat che lancia l’allarme demografico e dice :
«Con 400mila nascite all’anno siamo/saremo un paese da 30 milioni di abitanti»
I nati in Italia nel 2021 per la prima volta scenderanno sotto la soglia dei 400mila. Un tassello, ulteriore nel trend di declino demografico del nostro paese.
La popolazione italiana già da due anni ha sfondato al ribasso la soglia dei 60 milioni, e ora si avvia rapidamente verso i 59 milioni, se i numeri continuano di questo passo…lo scenario è compatibile appunto, come detto prima, con una popolazione che nel lungo periodo si ferma a poco più di 30 milioni.
Cosa c’entra questo con la previdenza complementare? Beh molto! Sempre meno popolazione attiva, meno popolazione lavorativa, meno contributi previdenziali….a fronte di un paese sempre più vecchio e con sempre maggiori percettori di pensione. Il domani della previdenza pubblica quindi sarà sempre più nero!
Per finire le dichiarazioni del presidente dell’Inps Tito Boeri.
Se anche si riuscirà a percepire una “parte” della pensione pubblica, il rischio è anche che sarà sempre più avanti nel tempo.
“L’Inps lancia l’allarme, la classe 1980 rischia il pensionamento a 75 anni”
A causa del vuoto contributivo dovuto alla disoccupazione, pari in media a due anni per i lavoratori che hanno oggi 36 anni.
La disoccupazione giovanile potrebbe avere effetti devastanti sull’età di raggiungimento della pensione per le generazioni più giovani. Infatti, chi è nato dopo il 1980 rischia di andare in pensione con i requisiti minimi non a 70 anni, ma «due, tre, forse anche cinque anni dopo».
L’Inps ha condotto uno studio apposito sulla classe 1980, «una generazione indicativa» ha detto il presidente, prendendo a riferimento «un universo di lavoratori dipendenti, ma anche artigiani», ed è emerso come per un lavoratore tipo «ci sia una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni. Il vuoto contributivo pesa sul raggiungimento della pensione, che a seconda della sua lunghezza, «può slittare anche fino a 75 anni».
Il tema quindi è che assodato, l’esistenza del problema previdenziale, che sarà sempre più presente. Si può e si deve fare qualcosa per migliorare la situazione, agendo quanto prima con gli strumenti che lo permettono.
Non aspettare il tuo futuro è già qui…costruiscilo al meglio.